venerdì 16 novembre 2012

Tabula rasa

foto di paula de jesus


Esco dal mio cervello con precauzioni da sioux. Nessuno in vista. Lascio scivolare il neurone krumiro finalmente nel sonno. Torno in me a passi furtivi. Non si vede anima viva e poi, esausta, crollo sulla realtà con l’impressione di aver compiuto il mio dovere.
Mi invade una potente sensazione di non so che.
Non so che.
Questo stupido impulso, lungi dal porre fine alla battuta di caccia, la incoraggia cento volte tanto. E’ un errore strategico gravissimo. Questo maledetto finto Insaputo comincia a darmi sui nervi.
Del resto un semplice “Non capisco” sarebbe stato chiaro come il sole.
Oppure “Ci deve essere un errore, restituisco al mittente”
Senza fronzoli, corto e puntuale “Destinatario errato”
Astuto e definitivo “Non so come interpretare”
Più tortuoso “Il neurone krumiro non sa codificare”
Sottile “Grazie, ma le strenne mi vengono regalate solo a Natale”
Oppure burocratico “Si prega di accusare ricevuta di ritorno”
Invece di tutto questo, faccio moine mentali come in un salotto letterario di un psicanalista freudiano e partorisco semplicemente un “Grazie” che non dirò mai perché il telefono squilla a vuoto.
Scatto e mi precipito verso la quotidianità. Sono perduta.
Un’unica possibilità ormai: fare la morta.
Qualsiasi cosa succeda, non ci sono, non so niente, non rispondo, non scrivo, non prendo nessuna iniziativa, in equilibrio sul filo dei giorni. Mi convinco che ciò a cui ho deciso di non pensare non esiste, eppure ci penso di continuo, al punto che mi dimentico di me.

(Greta)

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